sabato 19 febbraio 2011

Il Grinta


Seconda metà dell'800, la quattordicenne Mattie (Hailee Steinfeld) assolda, per scovare l'uomo che ha ucciso suo padre, lo sceriffo Rooster Cogburn detto "Il Grinta" (Jeff Bridges), non più giovane e mezzo alcolizzato, assieme al quale si avventura nelle terre selvagge dell'Arkansas, alla caccia della banda di cui fa parte il fuggitivo. A loro si unirà un ranger texano (Matt Damon).
Adattando il romanzo True Grit di Charles Portis con un remake del film omonimo del 1969 (che valse un Oscar a John Wayne), i fratelli Coen si misurano con il più classico dei generi cinematografici, girando un western crepuscolare che riprende il repertorio tematico caratteristico delle loro produzioni (imprevedibilità della sorte, arbitrarietà ed irrazionalità del destino, crisi dei valori morali e qui anche nostalgia del passato) e contaminato con le cifre inconfondibili del loro stile sempre in perfetto equilibro fra piacere del racconto ed un umorismo nero e paradossale. "Affogando nel nichilismo la retorica della mitologia americana"(Gianluca Arnone, cinematografo.it), i Coen narrano in fondo una storia di formazione in cui la giovanissima eroina, intransigente nella convinzione che ogni colpa debba essere punita e che esista una chiara linea di demarcazione fra Bene e Male, apprende dallo sceriffo dal grilletto facile e con qualche anno e chilo di troppo che la vita, con i compromessi e le scelte che impone, è faccenda ben più complicata. Assolutamente delizioso il nonsense che percorre il film e che affiora in certe trovate (la gara di tiro alle ciambelle) o battute ed alcuni personaggi (il medico con la pelle d'orso, il bandito che fa i versi degli animali), autentico marchio di fabbrica dei fratelli registi. Candidato a dieci premi Oscar e buon successo commerciale.




Regia: Joel ed Ethan Coen
Anno: 2010


Giudizio: ***1/2

Another Year


La candidatura all'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale di quest'ultimo lavoro dell'inglese Mike Leigh è stata notizia inattesa e gradita: capita di rado per un film in cui, di per sé, accade poco, che si limita a raccontare la quotidianità di una coppia sessantenne e benestante (l'occhio è puntato sulla piccola borghesia di provincia) e del microcosmo composto dai loro amici e parenti. Ma in tale ripetitività di gesti e situazioni (pranzi, cene, visite più o meno annunciate) Leigh vi cala una coinvolgente riflessione sul senso della vita e sul trascorrere monotono del tempo (già nel titolo), scandito appena dalle piccole novità, liete (il fidanzamento del figlio) o tristi (la morte della cognata) che segnano le vite ordinarie delle persone comuni. E volti comuni e familiari sono stati scelti per personaggi che non hanno alcunché di eccezionale, fra cui si distingue Mary, amica di famiglia invadente e scontenta, interpretata da una grandiosa Lesley Manville. Sono personaggi che si confrontano con la difficoltà del vivere e la sua incomunicabilità, con la solitudine e la nostalgia dei ricordi, con conflitti e tensioni latenti, con il dolore della perdita e gli spettri di un fallimento personale annegato in troppi bicchieri e troppe sigarette. Così, mentre le stagioni si alternano di pari passo cambiano gli stati d'animo e le atmosfere, più giocose e ed ironicamente allegre nella prima metà, via via più dolenti e malinconiche verso il cupo finale, anticipato de un prologo pessimista che funge da iniziale dichiarazione d'intenti. L'ultima inquadratura lascia con un nodo alla gola col suo messaggio senza speranza: l'infelicità, per quanto ci si affanni, è destinata a restare un male incurabile.



Regia: Mike Leigh
Anno: 2010



Giudizio: ***1/2

martedì 8 febbraio 2011

Il Discorso del Re


La storia di re Giorgio VI d'Inghilterra (Colin Firth) e degli incessanti sforzi con cui combattè per tutta la vita la balbuzie da cui era affetto, grazie all'aiuto di un logopedista (Geoffrey Rush), non vero medico ma acuto conoscitore dell'animo umano. Tom Hooper ha diretto un buon film sul tema del confronto dell'uomo con le proprie debolezze e della nobilitante lotta per il superamento dei propri limiti, con il messaggio di fondo che perseveranza, forza d'animo e coraggio di affrontare le proprie paure sono le qualità che contraddistinguono i vincenti nella vita. Ma c'è anche una riflessione sull'importanza della responsabilità, in un periodo in cui (siamo agli albori della Seconda Guerra Mondiale) la Storia chiamava gli uomini ad affrontare sofferenze e difficoltà. Interessante la raffigurazione di un mondo di cui, con la diffusione dei primi mezzi di comunicazione di massa, iniziava a cambiare per sempre la percezione ed il ritratto del lato umano del potere, attraverso le tinte delicate del rapporto fra re Giorgio ed i propri cari (la moglie, le figlie). A convincere meno, la psicologia un po' troppo incline al cliché (i turbamenti dell'infanzia, il peso dell'autorità paterna, l'ambiguo rapporto col fratello). Da godere la sequenza in cui re Giorgio fa le prove del discorso alla Nazione che seguì la dichiarazione di guerra alla Germania nazista, intervallando frasi gravi e solenni ad improperi e motivetti canterini per vincere le esitazioni della voce. Vero trionfatore agli Oscar 2011.



Regia: Tom Hooper
Anno: 2011


Giudizio: ***