domenica 27 marzo 2011

I Ragazzi Stanno Bene


Nic (Annette Bening) e Jules (Julianne Moore), coppia lesbica regolarmente sposata, hanno due figli concepiti con il seme del donatore anonimo Paul (Mark Ruffalo). Quando i ragazzi decidono di conoscerlo, questi, figo trendy e un po' playboy, sembra destinato a sconvolgere gli equilibri familiari, finendo a letto con Jules e mettendone in crisi il matrimonio.
Commedia indipendente americana, ambientata nella California medio-borghese chic ed open-minded, I ragazzi stanno bene affronta con naturalezza le nuove dinamiche amorose, affettive e relazionali che nascono nella società della liberalizzazione dei costumi sessuali: se lo humor della Cholodenko ne sottolinea ironicamente i paradossi (coppia di lesbiche con figli da padre etero e che nei momenti di intimità guarda porno maschili per gay!), il merito ed il valore del film sta nella volontà di normalizzazione dell'essere omosessuale, nell'anelito liberatorio che vorrebbe spezzare le catene omofobe che ancora cingono il modello classico di famiglia, mostrando come gay non significhi necessariemente trasgressione e sregolatezza, ma rappresenti nella maggior parte dei casi la condizione di vita quotidiana di persone assolutamente ordinarie. Il messaggio è affidato al racconto di una storia estremamente convenzionale (matrimonio messo in crisi dal logorio degli anni e dalla differente realizzazione professionale dei coniugi con tutte le annesse frustrazioni e ricriminazioni, sbandamento condito dall'immancabile scappatella che si risolve in una più matura consapevolezza ed accettazione dell'altro con superamento finale delle momentanee difficoltà), messa in scena correttamente ma senza entusiasmare in modo particolare. Resta da capire se la comunità indie abbia davvero gradito un'esaltazione, per quanto in chiave moderna, di valori e modelli di vita decisamente tradizionali: il tentativo alternativo di coabitazione sentimentale allargata appare infatti fin dall'inizio impossibile e condannato al fallimento.


E' il modo del tutto convenzionale di affrontare una storia su un nucleo familiare non convenzionale l'idea forte del film (Edoardo Becattini, mymovies.com)



Regia: Lisa Cholodenko
Anno: 2010


Giudzio: **1/2

domenica 13 marzo 2011

The Fighter


La storia vera del pugile professionista Mickey Ward (Mark Wahlberg) che nel 2000 divenne campione del mondo nella categoria pesi welter. E del fratellastro Dicky (Chrisitian Bale), un tempo giovane promessa della boxe, ma poi smarritosi nella schiavitù del crack e dei ricordi. Ma anche la storia di una famiglia gretta ed invadente e di una comunità industriale del Massachuttes, in cui la maggior parte delle diatribe si risolvono a pugni o a schiaffi.
David O. Russell ha costruito il suo film facendo del ring metafora esistenziale: Dicky è uno a cui piaceva restare sempre al centro del tappeto e dell'attenzione, mobile sulle gambe come volubile nell'animo le cui ferite sono scavate sul volto emaciato e la cui follia è impressa negli occhi stralunati di un Bale meritatamente premiato come attore non protagonista con Oscar e Golden Globe. Mickey è invece uno abituato ad incassare colpo su colpo, sempre chiuso alle corde da una vita da perdente su cui non ha controllo e quasi nemmeno diritto di parola, ma che è certo di avere dentro sè l'energia nascosta del campione per reagire, quando nessuno ormai ci crede più, e tempestare di pugni l'avversario ed il destino fino al gong finale, quello della rivalsa e del trionfo. E se questo parallelismo funziona, così come il mix di temi importanti (il tunnel della tossicodipendenza, il rapporto di amore e odio con la famiglia, l'autodeterminazione come momento fondamentale di crescita, il sogno del successo) è ben accompagnato da una regia che ha senso del ritmo e trovate interessanti (il film nel film), "un finale che è pacificatorio e, come detto, troppo ‘happy'" (Giancarlo Zappoli, mymovies.it) toglie qualcosa ad un film che resta comunque complessivamente apprezzabile. Generosi i premi a Melissa Leo nel ruolo di madre-manager, brava ma nulla di più.


Regia: David O. Russell
Anno: 2010


Giudizio: ***

domenica 6 marzo 2011

Un Gelido Inverno


Su un altopiano dell'America centrale, in una comunità chiusa ed arretrata, la diciassettenne Ree (Jennifer Lawrence) si prende cura dei fratellini da quando la madre è in stato di patologica apatia ed il padre, appena uscito di galera, è sparito dalla circolazione. Quando viene a sapere che questi ha impegnato la casa a garanzia della cauzione, Ree decide di mettersi sulle sue tracce e comincia una ricerca fitta di misteri che la porterà a scoprire una terribile verità.
Il secondo lungometraggio della semiesordiente regista Debra Granik, talento emergente del panorama cinematografico indipendente, ha al tempo stesso gli stilemi del genere thriller e la forza della denuncia sociale: ad essere mostrata è un'America rurale che vive ai margini dell'indigenza, che è soffocata da strutture rigidamente patriarcali e maschiliste, che è dominata dalla violenza e dall'autodifesa (anche'essa violenta, come quando Ree insegna ai fratellini l'uso del fucile) al di fuori da ogni cornice civile, che è sopraffatta da un'illegalità pervasiva e da una fitta ragnatela di complicità ed omertà, che è schiava della devastazione fisica e psicologica prodotta dalle metanfetamine, la droga dei poveri. La bravura della regia della Granik sta nell'aver reso tangibili le atmosfere imputridite, come il fondo della palude in cui Ree rinverrà il cadavere del padre, di un angolo di Stati Uniti, lato oscuro e scabro della società americana. Se quindi può dirsi assai ben riuscita l'operazione di descrivere "un contesto miserabile e infausto utilizzando un linguaggio livido e cupo" (Edoardo Becattini, mymovies.it), meno efficace appare un racconto che paga qualcosa sul piano della naturalezza e non si libera da una freddezza di fondo, stilisticamente coerente ma che alla lunga rischia di risultare indigesta. Premiato al Sundance ed al Torino Film Festival, sono rimaste invece senza seguito le quattro canditature agli Oscar.




Regia: Debra Granik
Anno: 2010


Giudizio: ***

sabato 5 marzo 2011

Il Cigno Nero



La ballerina classica Nina (Natalie Portman) ha ottenuto il ruolo principale ne Il Lago dei Cigni, ma se è perfetta nell'interpretare la fragilità tormentata del cigno bianco, non riesce ad incarnare la passionalità del cigno nero. Repressa dalla madre asfissiante (Barbara Hershay), pungulata da un coreografo esigente (Vincent Cassel) ed in competizione con la conturbante Lilly (Mila Kunis), Nina scoprirà il proprio lato oscuro.
Aronofsky punta sul tema del doppio (con tutto il conseguente gioco di specchi, riflessi, allucinazioni), chiamando in causa la dualità fra la sublimazione controllata e antivitalistica che aspira all'ordine della perfezione ed il tumulto ebbro e viscerale delle passioni umane. La protagonista Nina, la cui carattarizzazione psicologica ruota attorno alla marbosità del rapporto con una madre possessiva e protettiva oltre ogni limite da cui discendono insicurezze e tormenti interiori (somatizzati in disturbi psicofisici sempre più evidenti ed autolesionistici), compie un viaggio dentro sè stessa alla ricerca della parte più istintiva e sensuale di sè, più erotica e trasgressiva che troverà solo con l'omicidio/suicidio finale, potentemente metaforico. Le scelte visuali del regista, funzionali alla rappresentazione di una metamorfosi che pur rapisce e inquieta, sono all'insegna di una eccentricità forse eccessiva che tradisce una "sensibilità stravagante e un tantino kitsch" (Gianluca Arnone, cinematografo.it). Come già in The Wrestler, si ritrova il tema del destino sofferto del performer, della dedizione totale al pubblico, del connubio fra morte ed arte. Premiatissima la Portman, vincitrice, fra l'altro, di un Golden Globe e dell'Oscar.


Regia: Darren Aronofsky
Anno: 2010


Giudizio: ***