venerdì 9 luglio 2010

Lettere da Iwo Jima



Secondo capitolo, dopo Flags of Our Fathers, dedicato da Clint Eastwood alla memoria della sanguinosa battaglia di Iwo Jima, combattuta sull'isola giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale. Se nel primo l'ottica era in chiave americana, questo episodio assume il punto di vista dei soldati nipponici, ispirandosi al libro "Picture Letters from the Commander in Chief" del generale Koribayashi (interpretato sul set da Ken Watanabe). In quest'operazione cinematografica (inedita) era inevitabile che i due film avessero punti di contatto (fatti, sequenze, scenografie, inquadrature), ma nei temi che trattano e nell'angolazione da cui li affrontano si notano precise differenze. Lettere da Iwo Jima racconta come le truppe giapponesi fecero fronte ai combattimenti, pur sapendo di essere destinate alla disfatta e, con essa, alla morte. Eastwood è attento alle peculiarità culturali della sensibilità orientale (sacralità della difesa del suolo patrio, cieca fedeltà ai superiori, il suicidio come misura estrema per sottrarsi al disonore della sconfitta), ma al tempo stesso gli preme mostrare l'universalità dei sentimenti, delle paure e delle speranze che accomunavano i soldati di entrambi i fronti, quali membri di un'unica, dolente umanità. Lo fa, soprattutto, attraverso le lettere del titolo (rinvenute molti anni più tardi) che schiudono un universo di intimità familiare che rappresenta la normalità di una vita alla quale chi combatte su Iwo Jima sa di aver rinunciato. Il messaggio è più radicalmente pacifista, è più netta la denuncia dell'assurdità delle guerre e l'appello alla fratellanza dei popoli come salvezza rispetto all'irrazionalità della Storia. Vi è anche una constestazione del principio d'autorità, laddove gli ufficiali più illuminati (Koribayashi, ma anche il barone Nishi, eroe olimpico di Los Angeles 1932, interpretato da Tsuyoshi Ihara), pur restando fedeli fino alla fine all'incarico assegnato loro, ne intepretano con intelligenza e benevolenza i compiti, anziché adeguarsi acriticamente a dettami che non comprendono, nè condividono: è un appello ad una moralità individuale, alla responsabilità del singono rispetto alla cecità dell'ideologia. Infine, dietro la composta rassegnazione con cui Koribayashi affronta la fine (della battaglia e della vita), si scorge in trasparenza il sereno commiato dell'uomo Eastwood, consapevole di essere ormai prossimo agli ottant'anni (nel successivo Gran Torino questo tema si farà assai più esplicito).
Regia come sempre misurata ed elegante, fotografia notturna e cromaticamente essenziale, momenti toccanti (le morti del giovane Shimizu, di Koribayashi e Nishi, la lettera della madre del prigioniero americano morente) ed intepretazioni all'altezza completano il quadro di uno dei più incisivi film di guerra degli ultimi tempi.



Regia: Clint Eastwood
Anno: 2006


Giudizio: ****

Nessun commento:

Posta un commento