Fausta (Magaly Solier), giovane peruviana, ha mille paure ed una totale diffidenza verso gli uomini, trasmessale dalla madre, vittima degli stupri e delle angherie che erano all'ordine del giorno nel Perù degli anni '80, ai tempi dello scontro fra la dittatura militare ed i gruppi rivoluzionari (maosti, Tupac Amaru). Quando la madre muore, va a lavorare come cameriera in una casa signorile, mentre in famiglia fervono i preparativi per il matrimonio della cugina. La corte gentile e disceta che le fa il giardiniere Noè (Efrain Solis) l'aiuterà ad affrontare finalmente i propri timori. Film imperfetto, in cui non tutto forse torna come dovrebbe negli equilibri narrativi, ma ricco di trovate fantasiose e poetiche, di allegorie originali e spunti profondi, come è proprio di quel realismo magico che ha fatto la fortuna di molta letteratura del mondo latino. Piacevole da ascoltare e toccante il canto (nella melodica e misteriosa lingua quechua degli Inca) con cui Fausta (e prima ancora la madre) esorcizza il terrore, riuscendo solo così ad esternare l'indicibile, a sublimare un orrore altrimenti inesprimibile. Così come è di effetto la metafora del tubero inserito nella vagina, ingenua e disarmante difesa contro la malavagità umana (nella speranza che "solo lo schifo ferma gli schifosi"), il cui germogliare letale rimanda all'idea di un cancro arduo da estirpare, che cresce ed incancrenisce nell'animo di chi ha subito (indirettamente, in questo caso) violenze inumane e ne porta dentro una incancellabile tara (di cui forse è simbolo anche quel cadavere materno da cui Fausta sembra non riuscirsi a liberare): ennesima testimonianza della difficoltà che incontrano le nuove generazioni sudamericane nell'elaborare i drammi della storia recente, nel farsi carico delle atrocità compiute e subite dai padri. Le note di costume che fanno da contorno sono colorite e restituiscono (in contrasto con l'asettico ambiente della villa borghese) l'immagine di un popolo che, pur per ampi strati al di sotto della soglia di povertà, cerca a suo modo di trovare una propria spensieratezza e recuperare l'entusiasmo di vivere. Ed in effetti, la presa di coscienza di Fausta nel finale, che sceglie, seppur ancora timidamente, di aprirsi alla vita è un messaggio di speranza per il futuro di un intero paese. Orso d'oro (meritato) al festival di Berlino, candidato all'Oscar.
Regia: Claudia Llosa
Anno: 2008
Giudizio: ***1/2
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