venerdì 8 ottobre 2010

Il Tempo Che Ci Rimane


Rivisitazione autobiografica delle vicende della famiglia del regista Elia Suleiman (che, all'inizio ed alla fine del film, interpreta se stesso) dal 1948 (anno di fondazione dello Stato di Israele) fino ai giorni nostri. E' una storia di palestinesi in una terra che non appartiene loro (Suleiman è arabo-israeliano), raccontata attraverso le memorie e le esperienze del padre Faud (Saleh Bakri), ricostruite dai suoi diari, dell'infanzia e dell'adolescenza del giovane Elia ed infine della sua età matura. Non esiste però un filo narrativo propriamente detto, se non labile, si assiste sostanzialmente ad una successione di episodi, situazioni, aneddoti (spesso ripetuti) che ripercorrono oltre mezzo secolo di (impossibile) convivenza fra due popoli: dalla resistenza armata di Faud, all'attivismo politico di Elia, dal suo esilio al ritorno in patria, attonito e sbigottito dall'assurdità di una condizione e dall'immutabilità di un tempo che sembrano dover durare per sempre (il titolo originale è The time that remains), fra l'indifferenza delle nuove generazioni. Suleiman aveva già in passato sorpreso il pubblico occidentale con uno stile capace di fondere spirito militante ed una netta presa di posizione filo-palestinese (e quindi anti-israeliana) con la leggerezza dell'ironia, del paradosso, del nonsense. Si mantiene qui fedele a se stesso, combinando con successo sequenze drammatiche (quella della donna uccisa a sangue freddo dai militari israeliani che stava incitando credendoli ribelli o anche quella che mostra i prigionieri palestinesi inginocchiati, legati e bendati, in un campo d'ulivi) con gag semicomiche (il vicino di casa che si ubriaca e si cosparge di carburante ma non riesce mai a darsi fuoco). La comicità di Suleiman non vuole però introdurre distacco, bensì straniamento di fronte all'insensatezza delle angherie sopportate dai palestinesi e delle paronoie israeliane, con i risultati migliori nell'ultima mezz'ora del film, surreale e vicina, nelle mimiche, ai grandi classici del muto. La sequenza iniziale in cui, sotto un violento temporale, un tassista si smarrisce in un luogo che non conosce e si chiede angosciato ed incredulo cosa stia succedendo è chiaramente metaforica ed evocativa.



Regia: Elia Suleiman
Anno: 2009


Giudizio: ***

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