mercoledì 4 agosto 2010

Gomorra



Basato sull'omonimo best-seller di Roberto Saviano, Gomorra è costruito sull'intreccio di più vicende, tutte strettamente legate all'universo camorristico ed ambientate per lo più nei quartieri malfamati del napoletano: un "portasoldi" che distribusce diarie alle famiglie degli affiliati morti o in galera, uno scugnizzo che cresce all'ombra del clan, due delinquentelli che sognano di diventare gangster, un sarto che cuce clandestinamente abiti d'alta moda contraffatti, un imprenditore ed il suo giovane collaboratore che operano nel settore dello smaltimento dei rifiuti nocivi e pericolosi. Sullo sfondo la guerra fratricida e sanguinosa fra le opposte fazioni degli scissionisti e dei fedeli alla famiglia Di Lauro.
La bravura di Garrone è innanzitutto quella di aver fuso le varie storie senza soluzione di continuità, presentandole a tutti gli effetti come diversi volti della medesima, onnipresente realtà: vuoi per l'effetto omogeneizzante del dialetto (a tratti tanto incomprensibile da richiedere i sottotitoli) e delle musiche neomelodiche napoletane, che fanno da trait d'union fra i diversi segmenti narrativi; vuoi per le atmosfere fosche di una Campania senza sole, che pure sono un'invariante; vuoi, infine, per la stessa fatale impressione di impotenza ed immutabilità, che ammanta ogni inquadratura, trasmettendo la sensazione di una Camorra che è ben più di un'organizzazione crimonosa, ma al tempo stesso istituto sociale sostitutivo dello Stato (colpevolmente assente), costume radicato, cultura inestirpabile (infarcita di falsi miti: denaro, droga, sesso, potere). Più precisamente, sono in verità tante le Camorre che Garrone (come già Saviano) ci raccontano: quella che recluta manovalanza pescando nella miseria dei quartieri popolari, la microcriminalità che campa di spaccio e rapine, la piccola imprenditoria che si muove all'ombra della protezione mafiosa e quella in giacca e cravatta, il volto "clean" da presentare al mondo esterno. Tante Camorre, ma un solo destino: l'impossibilità di sfuggire a meccanismi che hanno smesso da tempo di essere, per molti, una scelta.
Da apprezzare la regia asciutta, quasi documentaristica, volta ad evitare ciò cha anche Saviano temeva: la mitizzazione epica di quella banalità del male che aveva tanto bene saputo descrivere nelle sue pagine. Recitato in parte con attori non professionisti presi sul posto: colpisce (e conferma la tesi del film) che ad oggi ben tre di loro siano stati successivamente arrestati. Il titolo rimanda alla città biblica, sinonimo di corruzione ed empietà. Premiato a Cannes.

Garrone sa azzerare l'iconografia del mafia movie, escludere le probabili ascendenze scorsesiane, per regalarci una visione inedita, una filmologia simbiotica all'antropologia in rapida evoluzione dell'universo camorra (Federico Pontiggia, Cinematografo.it)


Regia: Matteo Garrone
Anno: 2008


Giudizio: ****

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