giovedì 3 giugno 2010

Il Petroliere


Agli inizi del '900, in California, Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis) cerca l'argento, ma trova il petrolio. Cominciata l'attività di estrazione, presto ne nasce un'impresa. Alla morte di un suo lavoratore in un incidente, ne prende in cura l'orfano come suo figlio adottivo. Ma man mano che l'impresa prospera e le ambizioni di Daniel crescono fino a metterlo in competizione con colossi del settrore quale la Standard Oil, l'avidità e la megalomania latente lo rendono uomo sempre più arido, tanto che quando il bambino perde l'udito nell'esplosione di un pozzo, Daniel lo allontana da sè, mandandolo in un istituto per sordi. Tormentato dal senso di colpa, ma sempre più accecato dalla bramosia e dalla smania di successo e ricchezze, cede all'alcool ed alla follia e finisce per uccidere un evangelista, Eli (Paul Dano), fanatico e ciarlatano, con cui era da sempre in conflitto.
Che Anderson sia un regista di talento, è piuttosto evidente: non si può negare che abbia diretto Il Petroliere con stile rigoroso, al tempo stesso classico e realista (la prima parte, dal sapore quasi western) ed originale nel tono tendente (specialmente nella seconda parte) ad un espressionismo grottesco. La fotografia (premiata con l'oscar) è di classe, Day-Lewis è perfettamente calato nella parte ed almeno due sequenze sono da cineteca: i 15 minuti muti iniziali e soprattutto l'esplosione del pozzo, resa frenetica dall'ipnotica e martellante Convergence (suonata da Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead). Ma se il film è efficace sul piano allegorico, con Daniel ed Eli simboli lampanti del capitalismo ateo e senza scrupoli e dell'evangelismo ipocrita, piloni fondanti della società americana (e non si può non notare nel tema petrolifero un richiamo forte all'attualità degli anni recenti), lo è meno nell'armonizzare storia e personaggi: la figura smisuratamente egocentrica di Daniel, così visceralmente attaccata alla terra e misantropicamente incapace di amare, toglie spazio alle altre voci del film, ridotte a ruoli secondari se non a superflue comparse (il finto fratello, per esempio). Resta l'impressione di una felice ispirazione, di un risultato più che valido, ma anche di una narrazione che non riesce a far presa fino in fondo.



Regia: Paul Thomas Anderson
Anno: 2007


Giudizio: ***1/2

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