sabato 22 maggio 2010

Amores Perros


Primo lungometraggio del regista messicano Inarritu. Alla base del suo cinema c'è la teoria del caos e del butterfly effect, secondo cui la realtà è un complesso tessuto di relazioni ed interdipendenze, sicché eventi apparentemente non correlati interagiscono attraverso catene di causalità difficilmente tracciabili e dagli esiti imprevedibili. Tecnicamente, ciò trova espressione negli espedienti propri di quello che è stato definito hyperlink cinema, basato su sceneggiature sofisticate in cui diverse vicende si intrecciano tramite uno o più punti di contatto ad un primo sguardo casuali, i punti di vista si alternano, la narrazione è frammentata dal montaggio e non lineare (con frequenti balzi in avanti ed indietro nel tempo).
In Amores Perros è attorno ad un incidente automobilistico che ruotano tre episodi. Nel primo, il giovane Octavio si innamora di Susana, moglie del fratello Romiro (rapinatore gretto e violento) e cerca di racimolare con le scommesse sui combattimenti fra cani il denaro per fuggire con lei. Nel secondo, l’editore Daniel lascia la famiglia per andare a vivere con l'amante, la bellissima modella Victoria, che perde però una gamba a seguito dell'incidente in auto e la coppia va in crisi. Nel terzo, infine, l'ex guerrigliero El Chivu, che ha abbandonato la moglie e la figlia Maru molti anni prima, viene incaricato di compiere un omicidio su commissione. Quest'ultimo è senz'altro l’episodio più riuscito e la sua mezz'ora conclusiva vale da sola il Premio della Critica a Cannes, con un paio di sequenze (il confronto fra i fratelli rivali e la telefonata di El Chivu a Maru) assolutamente da antologia. Anche il primo episodio non sfigura per tensione drammatica ed intensità figurativa, mentre il secondo, un po' troppo banale e forzato nelle metafore, è senz'altro il meno ispirato dei tre.
Inarritu rappresenta i diversi strati sociali della società messicana (classe popolare, middle-class e sottoproletariato) e punta sull'analogia tematica come collante fra le storie raccontate. Queste sono infatti accomunate dalla centralità del rapporto fra protagonisti e cani (perros, appunto) e quindi dal dualismo fra umanità e bestialità. Ma Inarritu spazia, sommando la riflessione sulla problematicità dei rapporti umani (mostra infatti conflitti fratricidi, matrimoni falliti, famiglie divise, tradimenti, abbandoni) a quella sull'indissolubilità del connubio fra amore e violenza ed al tema della perdita (sottolineato dalla frase che si legge in chiusura: "Siamo anche ciò che abbiamo perso"). Ne emerge il quadro di un'umanità moralmente immiserita, incapace di accettare e gestire la responsabilità derivante dalle proprie scelte.
L'accusa di sensazionalismo mossa da certa critica non è a nostro parere giustificata, se non in minima misura.


Regia: Alejandro Gonzalez Inarritu
Anno: 2000


Giudizio: ***1/2

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