sabato 15 maggio 2010

Il Profeta



Malik (il quasi esordiente Tahar Rahim), giovane arabo-francese, entra in carcere neppure ventenne, solo, senza un soldo, sprovveduto e disprezzato per le sue origini. Ne esce sei anni più tardi, ormai divenuto un boss temuto e rispettato, grazie alla protezione offertagli da un padrino della mafia corsa, Cesar Luciani (Niels Arestrup), ma soprattutto in virtù della straordinaria capacità di comprendere e convincere gli altri ed anticiparne le mosse, che è poi il vero significato del titolo. Storia di un percorso di formazione alla rovescia, Il Profeta scandisce le tappe della maturazione di un giovane attraverso le esperienze negative della violenza (l'assassinio che è costretto a compiere all'inizio del film è un battesimo del sangue, un'irreversibile perdita di innocenza), del sopruso, della menzogna, del tradimento. Se sulle prime un'altra via sembra possibile, quella del recupero e del reinserimento, della scuola e dell'apprendimento di un mestiere, presto tale possibilità si rivela illusoria e Malik è forzato a compiere scelte che sono in realtà costrizioni dettate dalla necessità di sopravvivere all'interno di un meccanismo su cui non ha alcun controllo (e qui la riflessione di Audiard sembra trascendere i confini della realtà carceraria per farsi discorso più generale sulla condizione umana). Impara rapidamente come muoversi in carcere per non restare isolato, ne comprende le regole non scritte, apprende ad ascoltare e farsi ascoltare, intuisce le dinamiche del potere e degli affari e le fa proprie. Quando riuscirà a liberarsi di Luciani, padre putitavo utilitarista ed arido, il processo di crescita è compiuto.
Film meticolasamente realista nella cura dei dettagli con cui mostra i lati oscuri del sistema carcerario, Il Profeta offre un'immagine della società francese, ormai intrinsecamente multietnica, in cui il nuovo (qui il clan degli arabi) si fa strada disfacendosi del vecchio (i corsi), ma lo sguardo di Audiard non è nostalgico, non c'è pietas, nè giudizio morale. E laddove si fa onirico, mantiene intatta la coesione narrativa (ben risucite ad esempio le sequenze sulle visioni ricorrenti che Malik ha dell'uomo che ha assassinato), tranne in qualche caso (la premonizione sull'incidente col cervo è francamente una sbavatura).
Premiato a Cannes.



Regia: Jacques Audiard
Anno: 2009


Giudizio: ***

1 commento:

  1. avevo scritto anche uqi ma non trovo + il mio commento.. La storia è molto reale, per questo mi è piaciuto.. ci sono realtà come la politica ,e il carcere in questo caso ,che hanno storie veramente da film e questo film senza pretese ma molto carino ne è la prova :)
    p.s. come si firmano sti commenti??

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