domenica 9 maggio 2010

Elephant


Cronaca di un giorno di ordinaria follia: martedì 20 aprile 1999, data del massacro della Columbine High School, quando due studenti uccisero un professore e dodici compagni, ferendone molti altri, prima di suicidarsi. Gus Van Sant ricostrusice gli eventi in modo verosimile, anche se non perfettamente fedele. Il suo intento, d'altronde, è puramente cercare risposta ad un unico raggelante interrogativo: perchè è successo? Elephant è un'indagine che ripercorre le ore dei ragazzi protagonisti della vicenda (nel ruolo di assassini, vittime o sopravvissuti, non importa), prima che si scatenasse l'inferno. Ce li mostra alle prese con la routine di una banale mattina come tante altre, si sofferma su piccoli atti apparentemente insignificanti, su parole che sembrano dette per caso. Non sostiene una tesi, Van Sant, ma esplora i lati oscuri dell'universo giovanile: conflittualità con il mondo adulto, vuoto educativo, mancanza di punti di riferimento, difficoltà comunicative e di relazione, bullismo, rapporto disturbato con il corpo, solitudine. Soprattutto, ci mostra l'angoscia di un disagio interiore inesprimibile, un'apatia emotiva che spersonalizza, che rende incapaci di rapportarsi con la realtà, di orientarsi in una dimensione appiattita in cui tutto è osservato con lo stesso indifferente distacco, sia esso un videogioco violento, un filmato sul nazismo oppure il cadavere di un coetaneo. E' un malessere esistenziale visibile come l'elefante del titolo, eppure in molti non lo compresero.
Se la riflessione è profonda, i mezzi che Van Sant usa per esprimerla sono magistrali: frammenta il tempo narrativo per poi ricomporlo come in un puzzle, mostrando più volte le medesime situazioni da punti di vista ogni volta diversi; usa la telecamera per pedinare i personaggi da dietro oppure la lascia in un angolo a spiare da lontano, come in attesa di una rivelazione, di una chiave interpretativa o ancora scruta i volti in lunghi piani sequenza, disinteressandosi dell'azione fuori campo; ricorre al sonoro come unica forma di commento, affidandosi ora alla musica classica di Beethoven, ora ai silenzi, ora alla casualità dei rumori di fondo per creare un'atmosfera come sospesa, ovattata; adopera il potere evocativo delle immagini (il cielo oscurato dalle nubi), senza abusarne. Ci hanno visto lungo a Cannes (arrivando perfino a modificare il regolamento pur di assegnargli sia la Palma d'Oro che il riconoscimento per la miglior regia), molto meno agli Oscar, il che non è una novità.



Regia: Gus Van Sant
Anno: 2003


Giudizio: ****1/2

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