sabato 8 maggio 2010

Il Labirinto del Fauno


Spagna, 1944: una vedova di guerra ha sposato uno spietato capitano dell'esercito franchista, di cui è incinta, per assicurare protezione ed un futuro a sè ed alla figlia, la piccola Ofelia. Lui, dal canto suo, vuole solo una discendenza. Due mondi narrativi coesistono e si fondono. Il primo: la violenta lotta fra i militari del dittatore Franco da un lato, i partigiani datisi alla montagna dall'altro, nel mezzo quelli che si fingono fedeli ai primi, ma silenziosamente aiutano e sostengono i secondi (il medico e soprattutto la domestica Mercedes, figura centrale del film). Il secondo: l'universo incantato che ruota attorno al labirinto del titolo, popolato da creature magiche (insetti-fate, mostri e, soprattutto, il fauno), in cui Ofelia si avventura. Dovrà superare tre prove per dimostrare di essere la reincarnazione di una principessa fuggita molto tempo addietro e tornare per sempre nel reame. Finale tragico, ma non disperato.
Del Toro fonde i generi, creando un ibrido indefinibile a metà strada fra dramma storico e horror fantastico. Non è una scelta fine a se stessa, ma è funzionale ad una dichiarazione di poetica che esalta il potere salvifico dell'immaginazione e della fantasia di fronte alle assurde brutture del mondo. Le tre prove che deve superare Ofelia, come nei più classici riti di iniziazione fiabeschi, sono altrettante fasi nel percorso di liberazione dell'uomo dal male che permea la storia: superamente della paura dell'ignoto, delle tentazioni terrene e soprattutto rinuncià al sè, in un atto di estremo amore ed altruismo verso il prossimo: non è un caso se Inarritu lo ha definito un film cattolico. Ma la non linearità del Labirinto del Fauno lo rende sfuggente alle classificazioni e così vi troviamo anche l'elogio della scelta critica, del rifiuto del cieco senso del dovere, dell'obbedienza dogmatica.
Attento ai temi della perdita dell'innocenza e della colpa (ognuno ha la sua e finisce per pagarla, compresa Ofelia), è un film denso, ricco di ridondanze e suggestioni visive (Del Toro non fa mistero di essersi ispirato alla pittura di Goya), curato nella fotografia (ora calda e luminosa, ora cupa e gelida), bizzarro, visionario, grottesco. Di certo, resta la sensazione di una vitale, fresca originalità, di cui il cinema ha sempre bisogno.


Regia: Guillermo Del Toro
Anno: 2006

Giudizio: ***1/2

1 commento:

  1. la smetti di usare i nostri discorsi???? volgiamo i diritti :)Manu

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