mercoledì 7 luglio 2010

Donne Senza Uomini



Da un romanzo di Parsipur, ambientato nell'Iran del 1953. Quattro donne cercano di sottrarsi alla opprimente claustrofobia della loro condizione: Fakhri (Arita Shahrzad) lascia il marito, generale autoritario ed arido; Zarin (Orsolya Toth) scappa dal bordello in cui è costretta a prostituirsi; Munis (Shabnam Toloui) preferisce la clandestinatà dell'attivismo politico alla segregazione impostale dal fratello fondamentalista; Faezeh (Pegah Feydoni) abbandona la propria intransigente castigatezza dopo aver perso, in uno stupro, la verginità gelosamente custodita. La fuga nell'isolata villa di campagna dove appare, per un momento, possibile una vera libertà, dura lo spazio di un'illusione: il processo democratico voluto dal Primo Ministro Mossadeq è già al tramonto e le ombre del colpo di Stato e della restaurazione assolutista sono alle porte.
Da sempre sensibile al tema del ruolo della donna nella cultura islamica, l'artista visiva Shirin Neshat, pur non rinnegando i suoi trascorsi nelle video-arte, tenta la via del lungometraggio cinematografico, realizzando un film a due livelli. Da un lato ricostruisce con accuratezza e verosimiglianza il contesto storico ed il clima politico del tempo, sviluppando un parallelismo che parla, attraverso il passato, del presente dell'Iran odierno, delle sue utopie, delle sue ipocrisie, del suo bisogno di libertà (rappresentato dalla villa fuori città, un Eden fantastico, un luogo sospeso di indipendenza, emancipazione e, autobiograficamente, esilio). Al tempo stesso Neshat non esita ad imboccare sentieri simbolici, ad inseguire suggestioni oniriche, a concedersi spunti surrealisti, ad affidarsi all'espressività evocativa delle ambientazioni e e dei paesaggi. Il "realismo magico" (Fabio Ferzetti, Il Messagero) che ne risulta è affascinante, ma ci restituisce un film che "spesso si ripiega, inceppa, scarta" (Daniela Zanolin, Segnocinema), narrativamente disomogeneo, forse troppo costruito e ricercato nello stile, con una voce fuori campo che spiega troppo. Ammirevole la fotografia, basata sui chiaroscuri e sul contrasto cromatico bianco/nero. Premiato a Venezia.



Regia: Shirin Neshat
Anno: 2009


Giudizio: ***

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