venerdì 23 luglio 2010

Il Tempo dei Cavalli Ubriachi


Kurdistan: in un villaggio iraniano, su monti sempre ricoperti di neve vicino al confine con l'Iraq, il giovanissimo Ayoub (Ayoub Ahmadi), orfano di entrambi i genitori, bada da solo al fratello ed alle tre sorelle. Si arrabatta con i lavori più umili e faticosi, incarta bicchieri, raccoglie la legna, fa il mulattiere. Oltre a sfamarli e pagare gli studi alla sorella minore Amaneh (Amaneh Ekhtiar-Dini), cerca di raccogliere il denaro per l'operazione del fratello Madi (Madi Ekhtiar-Dini), affetto da nanismo. Lo zio decide di concedere la mano della sorella maggiore, Rojin (Rojin Younessi), a patto che i familiari dello sposo si prendano cura anche di Madi, ma, nonostante gli accordi, all'ultimo lo rifiutano. Ayoub decide allora di partire con Madi alle volte dell'Iraq, per vendere il suo mulo e trovare così la somma necessaria.
A metà strada fra il documentario ed il film drammatico, il lungometraggio di esordio di Ghobadi raccoglie ricordi dell'infanzia del regista, tempo che poeticamente chiama "dei cavalli ubriachi", alludendo alla pratica di versare liquori nell'acqua delle bestie da soma, per renderle più resistenti al freddo. La vicenda del tenerissimo Madi, deforme nel suo minuscolo corpo, condannato da una malattia senza scampo, rifiutato da tutti perchè debole e inutile (ma non dal fratello e le sorelle, che lo accudiscono con amore) è chiara metafora dell'odissea della popolazione curda, il più grande gruppo etnico al mondo senza patria, segnata da una storia interminabile di persecuzioni ed oppressione. E' anche un racconto di infanzie negate, di bambini divenuti adulti troppo in fretta, gravati come sono dal peso di un'esistenza insopportabile, così come schiacciati da immani carichi sono i muli che Ghodabi mostra a più riprese, immersi in una natura fredda ed ostile, anche qui con intento volutamente simbolico. Il finale lascia aperta la porta alla speranza di un futuro migliore, benché incerto. Tecnicamente, il talento della regia si esprime nella precisione delle inquadrature e dei movimenti di macchina, nella sensibilità dei contrasi cromatici della fotografia (fra il candore onnipresente della neve ed i colori accesi di abiti e finimenti, specialmente il giallo sgargiante della giacca di Madi). E' però evidente la pochezza dei mezzi a disposizione e non si può non cogliere una certa approssimazione nella recitazione degli attori.
Premiato a Cannes.

Nasce dalla dialettica tra documentarismo crudo e raffinatezza figurativa e raggiunge una dimensione tragica che fa star male. (Dizionario dei Film Morandini)


Regia: Bahman Ghobadi
Anno: 2000


Giudizio: ***

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