sabato 31 luglio 2010

Il Sole


Tokyo, 1945: in un paese martoriato dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, l'imperatore Hiroito (Issei Ogata), venerato dal suo popolo come una divinità, deve far fronte alla disfatta militare. Quando le Forze Alleate arrivano fin al suo rifugio, viene condotto al cospetto del generale MacArthur (Robert Dowson) e, su invito di questi, accetta di registrare un comunicato per la nazione in cui annunciare la resa e la rinuncia alla propria natura divina.
Dopo Moloch (incentrato su Hitler) e Taurus (su Lenin), Sokurov ha scelto come protagonista del terzo capitolo della quadrilogia del potere l'imperatore Hiroito, alla guida del Giappone per oltre sessant'anni. Come nei casi precedenti, ciò che preme al cineasta russo non è tanto analizzare le dinamiche del potere oppure le premesse e le conseguenze storiche dell'operato di Hiroito, quanto mostrarne la fragilità umana ed il contrasto fra questa ed il ruolo supremo che si trova a rivestire, tanto più netto per la presunta discendenza divina dell'imperatore. Il ritratto che ne deriva è quello di un uomo solo, un po' infantile, tormentato dai tic ed assorbito da insignificanti passioni (la biologia marina), pudicamente tenero negli affetti (di grande dolcezza la sequenza dell'incontro con la moglie), buffo agli occhi di occidentali troppo distanti culturalmente (i fotografi che lo paragonano irriverentemente a Charlot) per coglierne la dignità del contegno e le sfumature più malinconiche. L'Hiroito di Sokurov è uomo tormentato dal peso della responsabilità morale per la catastrofe in cui ha condotto il proprio paese (Hiroshima e Nagasaki sono già storia) e schiavo della condizione di Dio a cui la tradizione lo costringe, impedendogli di vivere autenticamente la propria umanità e costringendolo ad ostentare perfezione e sublimità anche laddove è irreparabilmente mediocre (nella poesia, per esempio). La rinuncia alla natura divina, a quella diversità che assomiglia più ad una condanna che ad un privilegio, non è quindi vissuta come onta, ma come atto di liberazione interiore.
Se la finezza della caratterizzazione psicologica è già nota di merito, la grandezza del cinema di Sokurov è soprattutto nella complessità stilistica ed estetica, nella continua ricerca di un linguaggio originale (fondato su scelte antispettacolari e ritmi riflessivi, ma anche note sarcastiche) e di una dimensione alta, spirituale. Ne Il Sole tale ricerca conduce a risultati notevoli, contribuendo a creare (anche grazie ai toni freddamente grigi della fotografia) un'atmosfera decadente, di disfacimento e di morte che riproduce, senza artifici retorici, la cupezza del clima storico.



Regia: Aleksandr Sokurov
Anno: 2005



Giudizio: ****

Nessun commento:

Posta un commento