venerdì 30 aprile 2010

La 25a Ora


Nel 2002, all'indomani dell'immane tragedia dell'11 settembre 2001, il popolo americano non poteva fare a meno di porsi degli interrogativi: cosa sono diventati gli Stati Uniti? Qual è il senso di quello che è accaduto? Come è stato possibile arrivarci? Soprattutto: qual è il futuro, se ne esiste ancora uno, di questo paese? C'è ancora qualcosa in cui sperare? Il merito de La 25a Ora è quello di non affrontare queste questioni in modo didascalicamente diretto (pochi infatti i riferimenti espliciti, fra cui la suggestiva vista notturna di Ground Zero), ma di sbieco, trasponendole nella vicenda di Monty (Edward Norton), di cui ci racconta le ultime ore di libertà, prima di scontare la condanna a sette anni di galera per spaccio, la cui imminenza incombe ineluttabile nel tempo dilatato di un giorno e di una notte. E' l'occasione per fare i conti con se stesso e con gli altri, ripercorrere il passato, gridare la propria rabbia (ormai celebre il monologo allo specchio), affrontare rimorsi e paure, chiudere le questioni rimaste aperte, dire le cose mai dette prima. I personaggi che gli fanno da contorno sono ben scelti e rappresentano le contraddizioni della modernità: il carrierismo arrivista e cinico, il perbenismo puritano ed ipocritica, l'opportunismo interessato, l'edonismo vuoto, le scorciatoie immorali per il benessere a tutti i costi. Ma non sono solo simboli, hanno un'anima, vivono ognuno il proprio conflitto interiore, la propria fragilità. Sono i cittadini di un'America che si è smarrita e che fatica a compendere ed elaborare il lutto che porta, ma che non si è ancora arresa. E' il cane straziato del prologo che precede i titoli di testa, agonizzante ma ancora rabbiosamente vivo. Sono le ferite sul volto gonfio e tumefatto del Monty dell'ultima sequenza, che si chiede se esista un'altra possibilità, un altro destino, un nuovo sogno americano.

Le scelte stilistiche di Spike Lee non ci vanno sempre a genio, specie nella prima parte: vanno bene le contaminazioni, ma alcune trovate le apprezziamo più in uno spot pubblicitario o in un videoclip musicale che su uno schemo cinematografico. Nell'ultima mezz'ora, però, il registro si fa più intensamente lirico, coinvolgente. La violentissima scazzottata fra Monty ed il suo amico di una vita Frank (Barry Pepper) ed il tragitto in auto verso il carcere assieme al vecchio padre James (Brian Cox) sono momenti di grande carica emotiva, di quelli che lasciano il segno.



Regia: Spike Lee
Anno: 2002


Giudizio: ***1/2

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